Fiumara dell'Amendolea
Descrizione

La tradizione indica questo corso d’acqua come il confine delle polis magno greche di Reggio e Locri, il leggendario luogo dove Ercole interruppe il suo sonno pomeridiano, per il troppo frinire delle cicale. La notizia, tramandata da Diodoro Siculo nel ricordare il silenzio delle cicale reggine rispetto a quelle di Locri, fu spiegata da Strabone quale metafora del clima di questi versanti: più asciutti quelli locresi, per cui ottimali al canto degli insetti, rispetto a quelli reggini che, per essere meno esposti a Mezzogiorno, asciugavano tardi le membrane umide delle cicale, rendendole mute. A questa leggenda sembra riferirsi Stesicoro quando, tra la fine del VII e la metà del VI sec. a.C., musicò a Locri la massima: “non si deve essere oltraggiosi se non si vuole che le cicale cantino da terra” per ammonire i cittadini a non macchiarsi di “hybris” – tecnica militare che consisteva nel taglio dei frutteti- al fine di evitare lo scontro coi Reggini. Benché la morfologia dell’Amendolea, possa essere assimilata a un vero e proprio confine naturale, non si esclude che il limite politico tra le due polis greche vada individuato nella fiumara di Palizzi o del Tuccio. Tante le guerre combattute lungo questi confini. Tucidide racconta della battaglia tra Ateniesi e Locresi nel 427 a.C., risolto a vantaggio dei primi con l’occupazione di Peripoli, identificata dagli eruditi del passato con il sito sul quale sorge il castello dell’Amendolea. Recente è la scoperta, lungo gli argini della fiumara, in corrispondenza del bivio verso San Carlo (frazione di Condofuri), di una necropoli d’età ellenistica, custode dei tanti che persero la vita guadando qui il corso d’acqua. Il toponimo Magazzino, conservato su un pianoro nella sponda opposta, fu probabilmente il luogo di stoccaggio delle merci dirette a Roma nel Tardo Antico, lungo la via che collegava Reggio a Taranto. Non è quindi casuale se nei pressi della foce della fiumara Amendolea, luogo di anguille già note a Cassiodoro per la bontà delle carni, furinvenuta nel 1580 una scultura di Venere, consegnata al vescovo di Bova, Tolomeo Corfinio (testo di Pasquale Faenza).
Nel cuore della natura e della storia: l’Amendolea
“Cercavo // tra le macerie / qualcosa da recuperare: / il sonno della notte, / quattro mura, / mattoni, / materiale inerte. Lì, sopra l’Amendolea, / dove eserciti di agonizzanti continuano a testimoniare / un’antica civiltà / ed una lingua / a molti ignota.”[i]
Le antiche fonti, quali Erodoto o Strabone, ci dicono che le fiumare erano un tempo navigabili. Tra tutte, l’Amendolea – l’antico Alèce, citato dal suddetto geografo – e la Melito-Tuccio hanno costituito per lunghissimo tempo l’unica via di comunicazione tra la montagna e il mare.
L’Amendolea rappresenta l’emblema dell’area greco-calabra, non soltanto perché giace al centro di un paesaggio superbo ma perché portatrice di una eccellente valenza storico-culturale. Attorno ad essa, infatti, si dispongono a “ferro di cavallo” le ultime roccaforti della lingua e della cultura ellenofona: essa è stata dunque la culla della grande civiltà dei Greci dell’età classica, e a tutt’oggi ne custodisce l’eredità.
La fiumara nasce tra le gole e i dirupi dell’Aspromonte, per aprirsi lungo i pendii, scavalcando le zone più scoscese con una straordinaria danza di cascate delle quali le più suggestive sono quelle del Maesano e dando origine a laghetti denominati “gurnali”, tra i quali si distingue l’Olinda in prossimità della contrada Santa Triada di Roccaforte del Greco. A metà della sua discesa incontra il torrente Colella ed è a questo punto che il suo letto raggiunge la massima apertura, che arriva a misurare anche 500 metri.
Dopo aver bagnato il territorio di Roccaforte del Greco, Roghudi e Condofuri, sfocia in mare nei pressi di Condofuri marina. Oltre alle acque del Colella, riceve le acque del Menta – che è il suo principale affluente, e sul quale è stata costruita un importante diga –, del Furria e della fiumara di Condofuri.
[i] Filippo Violi, Mèsa sta spitìa chalammèna, in Filippo Violi, I nuovi Testi neogreci di Calabria, vol. II, Iiriti ed., Reggio Calabria, 2005, p. 264.